La Diocesi ricorda Pino Maiese: il professore, “maestro di vita”, se n’è andato lasciando un grande vuoto

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Il Calvario e la Passione del Signore, che ha spesso pregato in vita, li ha vissuti sulla propria pelle sino al giorno in cui ha lasciato questa terra. Pino Maiese, per tanti il Professore, ha terminato una sofferenza lunga, in cui mai sono mancati gli attestati di affetto da parte degli alunni, dei compaesani, e di tanti amici che in varie fasi della sua storia ha incontrato. Con la moglie Carmela al fianco ha “combattuto la buona battaglia”, raggiungendo, stremato, il traguardo finale di questa esistenza. Appassionato insegnante, amava condividere e raccontare agli alunni la vita. In fondo era questa la materia che più lo appassionava: comunicare ai giovani con il carisma di cui era naturalmente dotato, la capacità di essere buoni cittadini, rispettosi degli altri, delle leggi e del creato. Darsi, insomma, per sognare con i piedi per terra una società in cui la parola uomo avesse un senso. Era questa la sua missione. Le esperienze scolastiche cilentane negli istituti superiori che lo avevano visto insegnate di religione e vicepreside attento a promuovere l’istituzione accanto ai cittadini del domani, lo raccontano. Le testimonianze di solidarietà, stima, incoraggiamento e augurio durante la malattia, ricevute da tanti ragazzi e colleghi seppure di un solo anno, anche attraverso Facebook, descrivono un legame ininterrotto, anche quando gli anni di scuola avevano diviso le loro strade. Pino Maiese aveva fondato tutto il suo operato e la sua azione sulle basi della solidarietà umana e della fede in quella Croce che redime e che allo stesso tempo, a volte, fa soffrire. La sua attività era iniziata in parrocchia, al suo piccolo paese, Ceraso, tra gente semplice, ed era poi arrivata alle esperienze di vari gruppi giovanili e, infine, in diocesi, sia con mons. Giuseppe Casale e poi con mons. Rocco Favale, terminando con mons. Miniero. Collaboratore diocesano, aveva affermato ed espresso nel sociale la sua vocazione all’annuncio e alla libertà dell’uomo. Instancabile, è stato critico, capace di una spiccata dialettica, attento a evidenziare luci e ombre di quello che vedeva, con l’obiettivo di migliorarsi e di migliorare ciò che ci circonda. Lo sguardo indagatore sotto gli occhiali, il baffo rossiccio che incorniciavano una capigliatura liscia, ordinata, di un rosso intenso, davano subito l’immagine di un inquieto, in fremito per qualcosa da fare. Una voce ferma e decisa, quasi impostata, per annunciare un progetto da presentare, una discussione da temere che non ti lasciasse troppo sereno. La sua era la voglia di smuovere il torpore che troppo spesso affoga il Cilento, quella voglia di dare una scossa, come cittadino e come cristiano, benevola e vitale per non lasciarsi ingoiare dal nulla. La sua lezione fondamentale, la vita stessa, l’ha tenuta in maniera egregia, luminosa. Lo si legge dalle parole degli alunni nel rendergli grazie per il bene ricevuto, per quell’ora di religione che “era ora di vita”, come scrivono in moltissimi. Per quella scritta su un telo bianco appesa al balcone dell’istituto Ipsia di Vallo della Lucania in cui si manifesta che, anche in un posto non facile come la scuola, possano nascere amicizie vere, senza fine.

Nicola Nicoletti