CONSIGLI PASTORALI PARROCCHIALI

 

 

La concezione di pastorale soggiacente le azioni messe in atto in Diocesi

 

 Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione  (Evangelii Gaudium 27).

 

Le esperienze pastorali promosse in Diocesi sono nate dalla preoccupazione di rispondere al processo di cambiamento in atto da molto tempo nell’occidente cristiano in genere, in Italia e, non escluso, nel nostro Cilento. Le iniziative proposte non sono nate dalla estemporaneità. I valori cristiani di riferimento, come la fraternità, l’accoglienza, la vita familiare, la solidarietà… sono ben radicati nella nostra Comunità locale e nel contesto regionale in genere. Tuttavia l’avanzare del relativismo e dell’individualismo ci pone nella consapevolezza che non viviamo su un’isola felice… In questi anni ci siamo lasciati guidare da una precisa concezione di pastorale così come in alcuni ambienti viene definita, e cioè: «l’attività della Chiesa, organica e gerarchica, a favore di un uomo concreto».

 

Riflettendo sul cammino realizzato in questi anni possiamo «ridefinire» la pastorale così:

 

  • il servizio proprio della Chiesa
  • alle persone e alla comunità-popolo
  • di un tempo (epoca) e di un luogo (cultura)
  • perché rispondano progressivamente alla propria voca­zione, alla comunione con Dio, alla santità, in quanto perso­ne e in quanto comunità-popolo
  • raggiungendo la salvezza-liberazione in Cristo
  • e così avvenga e si dilati il Regno di Dio.

 

Questa definizione, che non pretende di essere scientifica, vuol essere un contributo alla riflessione che ora andiamo a fare sul Consiglio Pastorale Parrocchiale. In seguito potremmo approfondire con giornate di ritiro e incontri di approfondimento il senso di questa definizione. Intanto oggi poniamo la nostra attenzione sul binomio: Pastorale e Spiritualità.
Pastorale e spiritualità

 

[...] La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia (Evangelii Gaudium 27).

 

L’architetto, mentre elabora un progetto è sempre dominato dalla preoccupazione di infondere un’armonia all’insieme, di comporre i diversi elementi in unità organica. Del progetto di Dio è l’unità salvifica il principio, il centro e il culmine, per Cristo, nello Spirito. È questo l’orizzonte che Gesù affida alla Chiesa, come testamento e invocazione suprema; è la massima perfezione della carità.
Introduzione

 

La carità non è tale se l’amore non porta alla comunione e alla partecipazione con l’amato, cioè all’unità; non serve a nulla, quindi, dare anche il corpo alle fiamme se non abbiamo la carità (cfr. 1 Cor 13). Il mistero dell’unità è il mistero stesso della storia, ne è la méta e il dinamismo. Della storia che:

 

  • scaturita dal cuore di Dio uno, che esprime in essa la sua pluralità, frantumata e divisa dal peccato, ricapitolata e riunificata da Cristo,
  • deve essere portata a compimento nella gloria, nel Dio Uno e Distinto (cfr. GS 2).

 

Si capisce quindi che Gesù, nella sua preghiera finale, chieda al Padre il dono dell’Unità, lasciandoci il suo desiderio come vocazione e compito. Si tratta perciò della stessa perfezione della carità, mai raggiunta del tutto, mai raggiungibile men­tre peregriniamo in questo mondo, sempre vocazione e compito da parte dell’uomo e insieme dono di Dio.

 

Modi falsi di intendere l’unità - Uniformismo (falsa unità); mimetismo (falsa personalità) (Capacità di adattarsi alle più diverse condizioni politiche o morali, soprattutto per opportunismo o per mancanza di carattere) ; reiterazione (falsa tradizio­ne) (sostantivo femminile Ripetizione, nell’ambito di una serie di tentativi o di proposte. “la r. dei decreti legge è una prassi discutibile”) ; livellamento (falsa uguaglianza); compromesso (falsa carità); «pax romana» (assenza di guerra).

 

Modi falsi e precari di costruire l’unità - Esclusione o scomunica; potere, con la sua espressione legale e disciplina­re; irenismo (sacrificio della verità) (Orientamento teologico tendente all’unione delle diverse confessioni cristiane in base ai loro punti comuni, [gr. eirḗnē ‘pace’]); lassismo (rinuncia a esigere il bene comune).

 

Difficoltà obiettive del cammino per l’unità - Precarietà dell’unità che esiste a tutti i livelli della vita ecclesiale e umana; divisioni che si manifestano nella vita quotidiana; conflittualità dialettica delle relazioni interpersonali, inter- gruppali e internazionali, come aspetto intrinseco alla vita dell’uomo.

 

Desiderio universale di unità - Aspirazione all’unità familia­re, coi vicini, ecclesiale, nazionale, internazionale e universa­le che non è mai stata tanto forte come oggi, proprio perché il mondo può essere distrutto in poche ore (cfr. GS 80-82).

 

Difficoltà sperimentate nell’ambito ecclesiale - Nella Chiesa si soffre in modo particolare la precarietà della comunione tra mentalità diverse, tra laici e preti, tra preti e vescovi, tra padri e figli, tra i diversi stati di vita; per i migliori la comunione ecclesiale è una sofferenza permanente, parte del mistero pasquale vissuto nella perplessità e nella consapevo­lezza di essere impotenti a risolverlo.
I. L’orizzonte offertoci da Gesù

 

 La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr Lc 10,17). La vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più piccoli (cfr Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» (At 2,6) a Pentecoste (Evangelii Gaudium 21). 

 

  1. 1.     L’unità del genere umano è una prospettiva utopica (GS 24)

 

  • È essere Uno come Dio nella Trinità (Gv 17, 21-22);
  • apre « orizzonti impervi alla ragione umana, suggerendoci una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità »;
  • l’uomo non trova la sua pienezza se non nel dono sincero di sé.

 

  1. 2.     L’unità è allo stesso tempo vocazione e dono (cfr. LG 13-17)

 

Tutti gli uomini sono chiamati all’unità del popolo di Dio al quale appartengono o si ordinano in modi diversi:

 

  • i fedeli cattolici;
  • gli altri credenti in Cristo;
  • tutti gli uomini in generale, chiamati da Dio alla salvezza.
  • Il carattere di universalità che distingue il popolo di Dio:
  • è un dono dello stesso Signore,
  • col quale la Chiesa cattolica tende efficacemente e perpe­tuamente a ricapitolare tutta l’umanità con tutti i suoi beni sotto Cristo capo nell’unità del suo Spirito.

 

Questa vocazione è allo stesso tempo responsabilità di ogni battezzato, di tutta la Chiesa, mossi dallo Spirito (LG 4) che guida la Chiesa alla verità, la unifica nella comunione e nel ministero, la rinnova costantemente e la conduce all’unità consumata col suo sposo.

 

  1. L’unità, oggetto di preghiera e di speranza per noi, persone e comunità Gesù la invoca (Gv 17, 20-26):

 

  • perché crede nel potere del Padre;
  • perché non la si raggiunge se non mediante l’accettazione della nostra impotenza e la fiducia totale nel potere e nell’amore di Dio;
  • perché è una responsabilità « adesso », come risposta all’amore di Dio;
  • perché è possibile, non solo come mistero di comunione presente grazie allo Spirito, ma anche come realtà storica, sebbene parziale.

 

Solo così partecipiamo alla sua gloria, alla sua gioia, alla sua testimonianza, alla sua credibilità e così il mondo riconoscerà Cristo.
II. Il dialogo: comunione e partecipazione

 

La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce (Evangelii Gaudium 24)

 

 

 

Natura del dialogo 

 

  1. Non è semplice informazione, conversazione, discussione … è un’autentica relazione interpersonale e, analogamente, intergruppale e internazionale. Relazione che comporta rivelazione e fede, cioè accettazione reciproca; autentica, cioè sincera e retta; interpersonale, cioè relazione nella quale ciò che si intercomunica è la coscienza di sé e della realtà che ognuno ha.

 

Il fine del dialogo e il mezzo col quale si realizza è la comunicazione delle interiorità. Vissuto nella fede, il dialogo è una relazione di fede, speranza e carità: di fede, come rivelazione e accoglienza dello Spirito; di speranza, come pazienza storica e certezza che un passo verso la pienezza è possibile; di carità, come comunione e partecipazione dell’u­nico Spirito.

 

  1. 2.     Esigenze spirituali del dialogo

 

Ascoltare, accogliere con benevolenza, silenzio interiore; dire la propria parola con semplicità, senza paura, disposti a cedere; discernere e acconsentire alla verità senza spirito di trionfo o di sconfitta, con pazienza e umiltà, come comuni­cazione dell’unico Spirito.

 

  1. 3.     Condizioni strumentali del dialogo

 

Capacità di presenza; ordine e metodo di lavoro; strutture adeguate di partecipazione.

 

  1. 4.     Frutti del dialogo (anche se sempre parziali)

 

La formazione di una coscienza comune; la convergenza a mete comuni; l’accettazione gioiosa delle persone; la pace che genera fiducia e quindi spazio psicologico per la creativi­tà; infine, l’edificazione della comunità umana ed ecclesiale, del Corpo di Cristo.

 

N.B. Qui si parla non solo del dialogo a livello interperso­nale, ma anche del dialogo interecclesiale, ecumenico, con le religioni non cristiane, con il mondo (cfr. Ecclesiam suam).
III. La comunità: comunione e partecipazione

 

 Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, (la Chiesa) se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi (Evangelii Gaudium 28).  

 

  1. 1.     La comunità

 

Non è la somma di persone, gruppi o popoli. Non è il solo« stare insieme », neppure è il « voler stare insieme » per difendere interessi comuni. E’ « volere insieme », cioè essere unificati da uno stesso proposito. Così: la comunità mondia­le è costituita da tutti i popoli, i quali hanno un’unica origine e lo stesso fine ultimo, che è Dio, la cui provvidenza, manifestazione di bontà e disegni di salvezza si estendono a tutti, finché si riuniscano gli eletti nella città santa… (cfr. NA 1 ); il Popolo di Dio è uno e unico, deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i tempi (universalità); Cristo ne è il Capo; lo Spirito è, per tutta la Chiesa e per tutti e ognuno dei credenti, principio di associazione e unità nella dottrina degli apostoli, nella comunione, nella frazione del pane, nelle preghiere (cfr. LG 13).

 

  1. Esigenze spirituali per la Comunità

 

La comunione in un unico spirito e finalità; essere unificati in un unico volere, fatto proprio e assunto da ogni membro della comunità; la cattolicità o accettazione gioiosa delle differenze, con la volontà che i doni, carismi e ministeri degli altri abbiano il loro posto e si realizzino pienamente a bene di tutto il corpo; lo stesso Spirito che è principio di unità è anche principio di differenziazione; le differenze si debbono volere, sentire come proprie e godere perché per­mettono l’universalizzazione di ognuno di noi e di ogni gruppo; è la coscienza dell’essere « parte » di un tutto;

 

  • la subordinazione di tutto e di tutti (persone, gruppi, popoli) alla realizzazione del bene universale o del bene comune della Chiesa e del mondo; subordinare, cioè, interes­si intellettuali, culturali, materiali; istituzioni, metodi, tradi­zioni; beni di persone, culturali e materiali; interessi perso­nali, gruppali, parrocchiali, diocesani, nazionali; ruoli, fun­zioni e compiti;
  • nella convergenza solidale (non competitiva), per la rea­lizzazione della missione della comunità e dei suoi obiettivi, cioè per la realizzazione di ciò a cui è destinata, che è il bene degli altri; in cerchi sempre più larghi perché siamo responsabili del mondo e della Chiesa (cfr. Ecclesiam suam).

 

  1. 3.     Esigenza fondamentale: il mistero dello svuotamento ( kenosi)

 

Disponibilità a perdere la propria vita (come persona, grup­po, comunità ecclesiale, popolo), perché nasca il « Popolo Nuovo »: « Chi perde la propria vita per me, la troverà » (Gv 12, 25); morte a tutti i particolarismi e individualismi personali e gruppali, come condizione essenziale per la vita; morte alla pretesa realizzazione personale o gruppale che non sia allo stesso tempo crescita dell’insieme.

 

  1. Condizioni strumentali

 

Metodi di pianificazione e revisione; disciplina e ascesi; strutture di partecipazione nell’elaborazione, nella decisione e nell’azione organica.

 

  1. Frutti

 

Comunità dinamica; testimonianza di essere famiglia, corpo, popolo; unità vissuta nella gioia e nella pace; il Signore aggiungerà nuovi membri alla comunità (cfr. At 2, 47).
Conclusione: la Chiesa sacramento – segno e strumento – dell’unità salvifica

 

Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la guida del suo Vescovo, è anch’essa chiamata alla conversione missionaria. Essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto è la manifestazione concreta dell’unica Chiesa in un luogo del mondo, e in essa «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica» (CD 11). (Evangelii Gaudium 30)

 

  

 

L’unità ecclesiale e universale è la ragion d’essere della Chiesa; non si può essere Chiesa senza vivere e voler co­struire questa unità; l’unità è oggetto di preghiera, speranza e impegno.

 

Questa unità della Chiesa non può essere voluta dalla stessa Chiesa se non in quanto espressione dell’unità del mondo e in quanto strumento per costruire l’unità del genere umano; solo chi vive, vuole e sente questa unità salvifica universale (la volontà del Padre) ha in sé la carità di Cristo. Questo atteggiamento, vissuto da ogni cristiano, dai gruppi ecclesiali, dalle Chiese locali e dalla Chiesa universale, è il solo a rendere credibile la Buona Notizia del Regno: Gesù Cristo.

 

Letture: Gv 17; Mt 18; LG 1, 14-13; GS 24, 78, 92-93; UR 4, 12; PC 14, 15; AA 8; NA 1;
[...] Affinché questo impulso missionario sia sempre più intenso, generoso e fecondo, esorto anche ciascuna Chiesa particolare ad entrare in un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma (Evangelii Gaudium 30).
Vi chiedo di andare col pensiero all’anno appena trascorso e puntare ciascuno lo sguardo sulla propria comunità. Come essa ci appare nel suo insieme, da chi è composta cioè quali sono i volti delle persone, le loro storie, i loro progetti futuri.    Quali sono i momenti di aggregazione; quali le esigenze della comunità nel suo insieme e nelle singole persone. Quali sono quelle persone che generosamente si mettono a servizio di essa per dare una risposta alle attese e ai bisogni.

 

Queste persone, questa gente è porzione del Popolo di Dio. Questa comunità-popolo è chiamata a rispondere progressivamente alla propria vocazione, alla comunione con Dio, alla santità, proprio perché persone amate da Dio e che a Lui appartengono.

 

Da sempre la Chiesa è impegnata a far crescere i suoi figli nella vocazione alla santità e nell’esercizio della missionarietà, vivendo da figli di Dio, intessendo relazioni di autentica fraternità con tutti e promuovendo un mondo più giusto, più solidale, secondo i valori evangelici offertici da Gesù. Tutti noi cristiani, siamo interpellati quotidianamente dall’imperativo missionario dettatoci da Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,14). Annunciare il regno di Dio, permettere all’uomo di percepire e vivere in pienezza l’umanità nuova offertaci da Gesù Cristo promuovendo il bene in ogni situazione, è  questa la missione della Chiesa; è questo il senso di ogni agire pastorale. Solo se restiamo fedeli alla missione affidataci da Gesù, solo allora, rendiamo presente all’umanità il volto misericordioso di Dio verso tutti. Se non dovessimo, per un qualsiasi motivo, sentire più la forza trainante del mandato missionario, dovremmo prendere in seria considerazione tutto quello che facciamo nelle nostre parrocchie.
Di seguito le schede da poter utilizzare per i laboratori:

 

CPP_Scheda per i laboratori n. 1

 

CPP_Scheda per i laboratori n. 2

 

CPP_Scheda per i laboratori n. 3

 

CPP_Scheda per i laboratori n. 4

 

Slide presentazione “I consigli pastorali parrocchiali – pastorale e spiritualità” CLICCA PER SCARICARE -> (PowerPoint)  -  (PDF)

 

Slide presentazione “Caratteristiche della Spiritualità di Comunione” CLICCA PER SCARICARE ->  (Powepoint)  -  (PDF)

 

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CONSIGLI PARROCCHIALI PER GLI AFFARI ECONOMICI

 

Indicazioni per la costituzione del Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici (c.p.a.e.)

 

Premessa
“In ogni parrocchia vi sia il consiglio per gli affari economici, che è retto, oltre che dal diritto universale, dalle norme date dal Vescovo diocesano; in esso i fedeli, scelti secondo le
medesime norme, aiutano il parroco nell’amministrazione dei beni parrocchiali, fermo restando il disposto del can. 532” (cioè la personale responsabilità del parroco, in quanto
legale rappresentante) cfr. C.I.C., can. 537.

 

Natura e Funzioni del C.P.A.E.

La particolare natura della parrocchia esige che l’amministrazione del patrimonio e delle attività parrocchiali sia compiuta non senza il consiglio e la partecipazione dei christifideles laici. Più precisamente: non da loro, ma con loro. La regola del Consiglio affari economici non è la “democrazia”, – istituzione non ecclesiale, – ma la “comunione” ricercata nella libertà del confronto e nella responsabilità. La funzione “consultiva” del Consiglio non va sminuita al punto da declassarlo a livello di “commissione tecnica” incaricata di dare un parere su di una questione, limitatamente all’aspetto economico; il Consiglio ha una competenza “parrocchiale”, e cioè tecnico-amministrativa e pastorale.

Scelta dei membri

È da sottolineare il carattere ecclesiale del C.P.A.E.. I membri devono essere scelti in base alla loro competenza; essi però sono anzitutto fedeli, chiamati ad un servizio da svolgere non in base a criteri puramente amministrativi, ma in riferimento a principi di ordine specificamente ecclesiale, primo fra tutti quello dei fini propri dei beni temporali della Chiesa: “ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri” (can. 1254 § 2). Per questo il C.P.A.E. deve avere un rapporto costruttivo con il Consiglio Pastorale parrocchiale e con l’intera comunità parrocchiale, di cui è espressione.

Statuto e Composizione

Il Consiglio affari economici è retto da statuto-regolamento assunto sulla base di quello proposto dalla diocesi, disponibile come fac-simile presso l’Economato o l’Ufficio Amministrativo. Il C.P.A.E. è composto dal parroco, che di diritto ne è il Presidente, dai Vicari parrocchiali e da un numero di laici da 4 a 8, nominati dal parroco, sentito il parere del Consiglio Pastorale, o in sua mancanza, di persone mature e prudenti. I membri durano in carica cinque anni, al termine dei quali possono essere eventualmente riconfermati dal Parroco. Occorre costituirne uno per parrocchia e, a differenza dei Consigli pastorali parrocchiali, non è possibile un C.P.A.E. unico per più parrocchie, anche nel caso vi fosse un solo parroco. È compito dell’Ufficio Amministrativo diocesano, in collaborazione con le parrocchie, promuovere la formazione sia specifica, per la materia di loro competenza, sia ecclesiale, dei membri del C.P.A.E.. Le presenti indicazioni devono essere conosciute dai membri del C.P.A.E. in ogni singola parte.

 

Convocazione e Compiti del C.P.A.E.

E’ opportuno che il C.P.A.E. si riunisca almeno due volte all’anno per l’ordinaria amministrazione (stesura dei bilanci e programmazione degli interventi) e ogni volta che si rendono necessari atti di straordinaria amministrazione dell’ente parrocchia. E’ compito del C.P.A.E. collaborare alla stesura dei bilanci preventivi e consuntivi dell’ente parrocchia controfirmandone le copie; inoltre, per disposizione del Vescovo diocesano, il C.P.A.E. è chiamato a esprimere il proprio parere circa gli atti di straordinaria amministrazione relativi alla parrocchia, per i quali è necessaria l’autorizzazione dell’Ordinario diocesano.

C.P.A.E. le opere parrocchiali

Non è così raro che la parrocchia gestisca anche opere che hanno una loro specificità, come ad esempio: scuola materna, casa per anziani, impianti sportivi e ricreativi. Tali opere hanno anche una loro specificità amministrativa. Come comporle nell’unità dell’amministrazione della parrocchia?

a) La prima strada, che sottolinea in maniera forte l’unità amministrativa della parrocchia, è che il C.P.A.E. assuma in modo diretto la gestione amministrativa di tali opere. In questo caso è necessario che per le singole opere il Consiglio si avvalga di “commissioni” di persone scelte o nominate in ragione della peculiarità dell’opera; l’aspetto amministrativo che di per sé tende ad attestarsi sui dati tecnici del dare e dell’avere, viene integrato e finalizzato alla natura scolastica, educativa, assistenziale, ecc… dell’opera. Nulla vieta di introdurre in tali commissioni persone provenienti dalle istituzioni civili presenti sul territorio.

b) La seconda strada, che mette più in rilievo la identità delle singole opere (e per questo raccomandata dalle organizzazioni a raggio nazionale, come la FISM), è di costituire per le singole opere un consiglio ad hoc con il compito della gestione globale dell’opera. Data la natura della parrocchia, il presidente di tale consiglio deve essere il parroco, anche se i complessi aspetti tecnici ed amministrativi di tali gestioni consigliano di dare responsabilità vera ed in misura sempre più ampia al personale laico, non confondendo, per altro, i “controllati” (le figure professionali dipendenti) con i “controllori” (i membri del Consiglio). Il parroco, infatti, deve riservarsi il ruolo di sintesi spirituale. In questo secondo caso le “gestioni speciali”, in certo senso “autonome”, sono legate al C.P.A.E. tramite il parroco; ne deriva la esigenza di un aggiornamento periodico che consenta al Consiglio di esprimere la sua
funzione di figura giuridica responsabile dell’unica amministrazione parrocchiale.
La parrocchia nella sua responsabile autonomia deciderà quale forma concreta dare alle proprie “opere”.

Trasmissione elenchi alla Curia Vescovile

Una volta costituito il C.P.A.E., il parroco abbia cura di predisporre un elenco dei membri e di trasmetterlo quanto prima alla Curia Vescovile. Allo stesso modo il parroco è tenuto a comunicare ogni variazione in caso di vacanza dei seggi.