Biografia

Giuseppe Rocco Favale (Irsina, 11 luglio 1935 – Gravina in Puglia, 29 giugno 2018) avvertendo la divina chiamata entra in seminario. Per il ginnasio-liceo e gli studi teologici è a Molfetta. Il 5 luglio 1962 è ordinato sacerdote. Muove i primi passi del ministero sacerdotale in Gravina come vice-rettore del seminario e come assistente della ACLI, consulente dell’ACAI e vice-assistente della GFAC. Contemporaneamente dà aiuto in parrocchia e diventa responsabile della comunità braccianti. Il sabato e la domenica ritorna ad Irsina, anche qui per un aiuto in parrocchia. Ben presto diventa rettore del seminario. Il suo impegno principale  quello di ristabilire la vita del seminario, tanto da renderlo un punto di riferimento per le diocesi viciniori della regione pugliese. In pari tempo dà vigore alla pastorale vocazionale, attivando i contatti con le scuole elementari. Trova anche il tempo per approfondire gli studi. Si iscrive all’Istituto Ecumenico di Bari, dove consegue la licenza e sempre in Bari si iscrive alla Facoltà di Lettere, conseguendo ottimi risultati. Il cumulo crescente degli impegni, però, non gli consente di completare il curriculum.
Nel 1974, la diocesi di Irsina viene staccata da Gravina e aggregata a Matera, alla cui sede arcivescovile viene preposto S.E. mons. Michele Giordano, futuro cardinale di Napoli e allora vescovo di Gravina e Irsina. Don Rocco, com’era comunemente conosciuto, non senza sentire la sofferenza del distacco, ma con grande libertà d’animo, segue mons. Giordano nella nuova sede, divenendone il segretario. Tenendo conto dell’esperienza maturata, gli viene affidata anche la pastorale vocazionale. Mette sù il centro diocesano vocazioni, circondandosi di validi ed entusiasti collaboratori. Riesce, così, a realizzare un giornalino, “Vieni con me” che raggiunge la tiratura di tremila copie. Il lavoro assiduo e zelante ottiene un risultato insperato, la creazione ex novo del seminario arcivescovile. Tutto ciò non poteva passare inosservato, cosi giunse anche il momento in cui fu chiamato ad aggiungere l’impegno di Responsabile regionale della pastorale vocazionale.
Nel 1985, il nuovo concordato tra Santa Sede e Italia portava alla creazione degli Istituti per il Sostentamento del Clero. Dell’IDSC di Matera è mons. Favale ad essere chiamato all’incarico di Presidente, che concretamente significava accollarsi tutto il lavoro di impostazione e di creazione stessa del nuovo ente. Compatibilmente con i suoi molti impegni, dava anche una mano nelle parrocchie. Stimato non solo dal suo vescovo, ma anche dai confratelli, ha fatto parte del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei  Consultori.
Intanto nel maggio del 1987 mons. Giordano veniva eletto alla sede partenopea. Mons. Favale lo accompagnò a Napoli e vi rimase per due mesi, ma appena seppe che era libera la Parrocchia della Immacolata in Matera, no esitò a chiedere di esservi assegnato, desideroso di ritornare al contatto vivo con la sua gente e al servizio pastorale diretto. Lì lo raggiunse, il 4 marzo del 1989, la nomina del Santo Padre che lo eleggeva vescovo della Diocesi di Vallo della Lucania.
Giunto nella nuova sede, si fece subito accogliere e ben volere per il suo tratto amabile e sorridente e per la parola semplice e volutamente non ricercata, ma schietta ed essenziale. Un programma aveva bene in mente, e senza metterlo subito per iscritto, cominciò ad attuarlo: il far convergere in unità le molteplici realtà della vita diocesana, irrobustendo le essenziali e lasciando cadere quelle che potevano sembrargli inutili o gravanti il già faticoso passo della diocesi. Individuò della urgenza su  cui spendere le prime giovanili energie episcopali. La prima attenzione fu per il presbiterio diocesano e per le vocazioni al sacerdozio. Ne fa fede la prima lettera pastorale “il gusto di essere prete”. Alla luce di questa preoccupazione, và pure letta la sua volontà di favorire un minimo di vita comune tra i presbiteri e  cambiamenti operati nell’ambito del clero. Suo intento, neppure tanto tenuto nascosto, era quella di togliere i preti dall’isolamento, cui l’esiguità delle parrocchie e le difficoltà di comunicazione inesorabilmente venivano a costringerli. Il segno più eloquente di tale premura è la realizzazione, a Vallo, del complesso pastorale “Maria SS.ma della Provvidenza”, case canoniche unificate con attigua sala polivalente e la progettazione di qualcosa di simile per altri punti nevralgici della diocesi. La seconda urgenza che individuò fu quella di un’adeguata formazione e valorizzazione del laicato. Si spiega così la successione dei convegni: prima sulla spiritualità del presbiterio, poi su “Preti e laici per costruire una comunità unita”. Venne poi il momento dell’attenzione ad alcune componenti particolari della comunità diocesana: un convegno dedicato ai giovani; una lettera pastorale dedicata a malati e anziani, “un dono da riscoprire ed amare”. Una peculiare attenzione al rapporto tra fede e cultura matura nei progetti pastorali del vescovo, che si esprime in un’attenta cura del patrimonio culturale proveniente dalla tradizione e un impegno nel favorire e dare spazio creativo ed espositivo al “bello” che artisti noti e meno noti vanno creando. Tale sensibilità è apprezzata anche dai suoi confratelli vescovi della regione, che gli hanno voluto affidare l’incarico di delegato episcopale della Conferenza episcopale regionale per i beni culturali. Nel rapporto fede – cultura, non poteva emergere un’altra attenzione: i mezzi della comunicazione sociale e il loro impiego nell’azione pastorale.
L’attenzione al cammino unitario della pastorale diocesana e la crescita delle tre dimensioni: Catechesi, Liturgia e Carità, trovò forma concreta nel Direttorio liturgico – pastorale che vide la luce nella Pasqua del 1993. Si tratta di uno strumento a sostegno del servizio pastorale dei e della formazione dei laici. In esso il vescovo volle dare forma scritta al piano pastorale che aveva avuto in mente sin dal suo ingresso indicesi e che andato perfezionandosi strada facendo, modellandosi sulle concrete esigenze dell’ora presente.
La riapertura al culto, dopo un restauro durato decenni della chiesa Granato in Capaccio, antica cattedrale costituendola santuario diocesano fu un momento importante per richiamare l’intera comunità al culto mariano. Che la devozione alla Madre di Dio fosse un tratto caratteristico della spiritualità  di mons. Favale lo si era capito subito, all’indomani del suo ingresso in diocesi, volle recarsi pellegrino al vetusto santuario della Madonna del monte di Novi Velia e della cura che nel tempo andava riservando al santuario. La lettera pastorale del 25 marzo 1995, interamente dedicata alla Madonna, con il titolo Maria pellegrina di Dio, accompagnava la peregrinazio Mariae che il vescovo aveva voluto come preparazione alla sua prima visita pastorale. Questa poi lo vide, infaticabile, in ogni comunità, non tanto a correggere, quanto a spronare, a infondere coraggio e a rivitalizzare la vita comunitaria delle tante piccole parrocchie. E delle tante persone anziane, uniche rimaste in tanti piccoli paesi, come anche dei giovani sfiduciati per la mancanza di lavoro, il vescovo ha creduto di farsi voce, per uno sviluppo umano del Cilento.